Le origini della coscienza
Le origini della coscienza partono da una domanda di base ovvero: sappiamo cos’è la coscienza?
Quando ci destiamo al mattino in realtà siamo svegli o passiamo da uno stato di sogno a un altro?
Ad esempio: riusciamo, mentre laviamo i piatti (ma le varianti possono essere molte: spazziamo il pavimento, scendiamo le scale, ci laviamo i denti, ci facciamo la barba, ci depiliamo, mangiamo un panino, facciamo la doccia, oppure nel tragitto fra l’automobile parcheggiata e il posto di lavoro, o fra casa nostra e la fermata dell’autobus a concentrarci su quello che stiamo facendo rimanendo coscienti di noi, senza vagare con il pensiero?
Il corpo fisico sa lavare benissimo i piatti anche se intanto la mente pensa all’ultimo film che ha visto, ma riusciamo a fare in modo che TUTTO L’ESSERE lavi i piatti, non solo un corpo; riusciamo a rimanere pienamente coscienti di ciò che facciamo come se il corpo senza il nostro aiuto cosciente non potesse farlo?
Mentre il corpo lava i piatti, la mente riesce ad essere lì e a non vagare per associazioni di pensiero come è abituata a fare?
Per esempio, riusciamo a ricordarci di noi mentre ci spogliamo e ci svegliamo; che sia la mattina prima di andare al lavoro, la sera quando torniamo, poco prima di andare a letto nell’indossare il pigiama, quando ci troviamo nello spogliatoio della palestra o della piscina, riusciamo a restare “presenti a noi stessi” mentre ci infiliamo o ci togliamo i vestiti, cioè completamente presenti a quello che stiamo facendo, senza farci distrarre da altri pensieri o da persone che richiamano la nostra attenzione? Ci riusciamo? Per quanto tempo? Un minuto? Due? Provate.
Provate e vi accorgerete che è difficilissimo a meno di fare estenuanti allenamenti. Provate!
Questa è la nostra coscienza, o almeno uno dei tanti aspetti di essa.
Ma, la coscienza, cos’è? Come si genera? Come si evolve? Perché siamo così diversi? Insomma qual’è la storia dell’origine della coscienza dell’uomo moderno?
Per tentare una risposta dobbiamo attingere ad un serbatoio inesauribile dell’umanità: i miti.
I miti narrano le storie di tutte quelle divinità che l’umanità ha inventato per … descrivere l’evoluzione della cultura ma, anche della coscienza.
Freud sostiene che i sogni e i miti appartengono allo stesso ordine psicologico: i primi sono privati, i secondi pubblici e si esprimono attraverso le religioni. In altre parole, secondo Freud, gli dèi esprimono manifestazioni dell’inconscio, paure, delusioni.
Per Carl Gustav Jung, invece, l’immaginario mitologico e religioso serve a fini positivi nei confronti della vita. La coscienza, orientata all’esterno, può perdere contatto con le forze interiori; i miti ci riportano in contatto con esse, facendoci integrare nella nostra vita i poteri della psiche.
Essi rappresentano la saggezza della specie e non possono essere attaccati dalle scoperte della scienza, che si rifanno al mondo esteriore. Il pericolo è semmai di essere soverchiati da sogni e miti: per questo occorre una continua interazione tra inconscio e coscienza.
Un allievo di Jung, propone l’analogia tra l’evoluzione dell’umanità e quella dell’individuo. Lo studio di Neumann (Storia delle origini della coscienza, Astrolabio 1978) incoraggiato da Jung, propone uno sviluppo che può fornire un modello per poter comprendere lo sviluppo della nostra coscienza.
Neumann (1905 – 1960) mostra come il processo di sviluppo, che segna il cammino psicologico del singolo individuo, sia strettamente collegato a quello dell’intera umanità, lungo un asse che dall’inconscio conduce alla formazione della coscienza e secondo specifici intervalli scanditi mitologicamente.
Carl Gustav Jung (1875 – 1961), fondatore della psicologia analitica. Alla trasformazione della libido e ai simboli che ne sono gli organi funzionali, Jung ipotizza che vi sia sottesa una pluralità indeterminata di “immagini primordiali” che sono atemporali, collettive e immutabili, da lui chiamate archetipi
Nella Prefazione Jung, ammette che:
”…il suo lavoro prende le mosse da quel nuovo continente in cui io mi sono imbattuto per la prima volta e inopinatamente , vale a dire dal simbolismo matriarcale e, per esprimere in termini concettuali quel che là ho intravisto, adopera un simbolo, cioè l’Uroboros, la cui importanza mi è divenuta in qualche modo chiara solo negli ultimi lavori sulla psicologia dell’alchimia. Su questa base egli è riuscito, da un lato, a delineare per la prima volta una storia dello sviluppo della coscienza e, dall’altro, a rappresentare il mito come una fenomenologia di tale sviluppo…”
Jung chiama archetipi, o immagini primordiali, gli elementi strutturali dell’inconscio collettivo. Essi sono le forme immaginifiche degli istinti, perché l’inconscio si manifesta alla coscienza anche con immagini che, come nei sogni, mettono in moto il processo di reazione e di elaborazione consce.
L’analogia più stretta per questa seconda categoria di formazioni fantastiche si trova nei tipi mitologici. E’ perciò da supporre che esse corrispondano a certi elementi strutturali collettivi (e non personali) dell’anima umana in generale e, come gli elementi morfologici del corpo umano, si trasmettano per via ereditaria” (Jung-Kerenyi).
Gli elementi archetipici strutturali, secondo Jung e Neumann, sono organi psichici dal cui funzionamento dipende la salute o la malattia dell’individuo.
“Essi sono, infatti, indicatori infallibili dei disturbi nevrotici e anche psicotici, dato che essi si comportano esattamente come gli organi del corpo o i sistemi funzionali organici trascurati o lesi” (Jung-Kerenyi).
L’imponente lavoro di ricerca di Neumann mostra come una serie di archetipi rappresenti una parte costitutiva essenziale della mitologia, come siano tra loro collegati, secondo leggi e, nella successione dei loro stadi, determinino lo sviluppo della coscienza. Nello sviluppo ontogenetico la coscienza egoica dell’individuo deve percorrere i medesimi stadi archetipici che hanno determinato lo sviluppo della coscienza all’interno dell’umanità.
Nella propria vita il singolo ricalca le orme che l’umanità ha calcato prima di lui;
‘ ….noi parliamo di ‘analogia’, cioè del rapporto, che presenta similitudine ma non eguaglianza, tra le fasi appartenenti all’evoluzione dell’individuo e quelle dell’evoluzione dell’umanità…’
Normalmente gli stadi archetipici vengono attraversati senza disturbi e lo sviluppo della coscienza procede in essi in maniera altrettanto ovvia e simile a quella dello sviluppo fisico attraverso gli stadi della maturazione corporea. Gli archetipi, quali organi della struttura psichica, intervengono in maniera autonoma, esattamente come gli organi fisici, e determinano la maturazione della personalità in maniera analoga alle componenti biologico-ormonali della costituzione.
‘… Alcune razze o, se disturba il termine, alcuni gruppi di persone geneticamente differenti possono essere a un livello di maturazione della personalità o di stadi archetipici differenti da quello di altri gruppi… Accanto al significato eterno, l’archetipo possiede anche un aspetto storico altrettanto legittimo. La coscienza egoica si evolve passando attraverso una serie di ‘immagini eterne’, e l’Io che si trasforma nel corso di questo passaggio sperimenta continuamente un nuovo rapporto con gli archetipi. Il rapporto dell’Io con le immagini e con la loro eternità si dispiega in una successione temporale, viene cioè vissuta in stadi…”
Ma, vediamo in dettaglio la natura di questi stadi.
I primi anni di vita: Il mito della creazione, ovvero l’Uroboros
L’adolescenza: La Grande Madre, ovvero: L’Io sotto la dominanza dell’Uroboros
Fine adolescenza: Il mito dell’eroe
Lo sviluppo psicologico del femminile