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In questa pagina: Identificazione, Identità, Immaginazione attiva,Inconscio, Inconscio collettivo, individuazione, Inflazione, interpretazione, Io, Istinto di morte, Istinto di vita
Una proiezione inconscia della personalità di un individuo su quella di un altro, si tratti di una persona, una causa, un luogo o un’altra figura, in grado di fornire una ragione di essere o un modo di essere. L’identificazione è una parte importante dello sviluppo normale. Nella sua forma estrema, l’identificazione può tradursi in identità o portare all’inflazione. L’identificazione con un’altra persona, per esempio l’analista, per definizione preclude l’individuazione. Fortunatamente, processi di identificazione e disidentificazione possono procedere simultaneamente a diversi livelli di sviluppo, anche nell’adulto.
Tendenza inconscia a comportarsi come se due entità dissimili fossero in realtà identiche. Tali entità possono essere ambedue interiori, o ambedue esteriori, o ancora può darsi identità tra un elemento interiore ed uno esteriore. Jung non usa il termine nel senso di identità personale. Jung vede la psicologia del bambino come quella di un essere che esiste in uno stato di identità con i genitori e, in particolare, con la madre. Vale a dire che egli partecipa della vita psichica dei genitori e ne ha poca o nessua di sua. Evidentemente non è così (e Jung stesso si contraddice quando osserva che il neonato ha una psicologia complessa. Per questo motivo gli psicologi analisti in seguito hanno mantenuto il concetto soltanto in una forma modificata.
Il termine identità viene oggi usato come termine generale per indicare tutta una gamma di fenomeni che si manifestano nell’infanzia, quando ancora non si è instaurata una differenziazione chiara e cosciente tra soggetto e oggetto. Viene usato metaforicamente per indicare le immagini positive e negative del bambino, le sue fantasie e i sentimenti di fusione con la madre. L’identità è anche vista come una sorta di conquista; uno stato in cui la diade madre-bambino deve entrare, guidata dal comportamento di avvicinamento attivo del bambino prima che possano aver luogo i processi di attaccamento-separazione.
Jung usò il termine per descrivere un processo di sogno a occhi aperti. All’inizio ci si concentra su uno specifico punto, umore, immagine o evento, poi si consente lo svilupparsi di una concatenazione di fantasie associate che assumono gradualmente un carattere drammatico. Di conseguenza, le immagini acquistano vita propria e si sviluppano secondo la loro propria logica. Il dubbio cosciente deve essere superato e qualunque cosa entri nella coscienza, di conseguenza, va accolta.
Come Freud, anche Jung usa tale termine si aper descrivere contenuti mentali inaccessibili all’IO, sia per delimitare un luogo psichico con un carattere proprio, proprie leggi e proprie funzioni.
Jung non considera l’inconscio esclusivamente come ricettacolo di esperienze personali, infantili, rimosse, ma anche come luogo di un’attività psicologica,diversa e più oggettiva dell’esperienza personale, essendo in relazione diretta con le basi filogenetiche, istintuali, dell arazza umana. Il primo, l’inconscio personale, è concepito come sovrapposto a quest’ultimo, l’inconscio collettivo. I contenuti dell’inconscio collettivo non sono mai stati nella sfera della coscienza e riflettono processi archetipici. Nella misura in cui l’inconscio è un concetto psicologico, i suoi contenuti, nell’insieme, sono di natura psicologica, qualunque possa essere la loro connessione, alla radice, con l’istinto. Immagini, simboli e fantasie si possono definire il linguaggio dell’inconscio. L’inconscio collettivo opera indipendentemente dall’Io per via delle sue origini nella struttura ereditaria del cervello. Le sue manifestazioni appaiono nella cultura come motivi universali dotati di un proprio grado di attrazione.
E’ la parte dell’apparato psichico sede di contenuti che non sono mai stati acquisiti personalmente tramite l’esperienza, ma che appartengono all’individuo come rappresentante della razza umana, come eredità genetica, ed è contenitore delle immagini archetipe, forme determinate e simbolo di istinti primari che possono essere presenti in ogni luogo e cultura; è una realtà psichica oggettiva che accomuna tutti gli esseri dell’universo, e costituisce una sorta di memoria dell’umanità e/o l’anima stessa dell’universo. Situati tra mente e materia gli archetipi, gli abitanti dell’inconscio collettivo operano creando delle relazioni tra lo stato psichico e il mondo fisico. Non si tratta di una connessione causale degli eventi, ma il tutto è mosso da un principio creativo e arcano.
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Nella sua mappa della psiche, Jung si sforza di distinguere la posizione dell’IO da quella assegnatagli da Freud. Egli lo percepisce come il centro della coscienza, ma ne sottolinea anche le limitazioni e l’incompletezza che fanno dell’Io qualcosa che è meno dell’intera personalità. Benchè siano di pertinenza dell’Io problemi come l’identità personale, il mantenimento della personalità, la continuità del tempo, la mediazione tra il dominio della coscienza e quella dell’inconscio, la cognizione e l’esame della realtà, tuttavia l’Io va anche visto come sensibile alle esigenze di qualcosa di superiore. Questo è il Sè, il principio ordinatore dell’intera personalità. La relazione tra il Sè e l’Io è comparabile a quella tra il “… movente e ciò che viene mosso”.
Inizialmente, l’Io è fuso con il Sè, ma successivamente se ne differenzia. Jung descrive l’interdipendenza tra i due; il Sè fornisce la prospettiva più olistica ed è dunque supremo, ma è all’Io che spetta la funzione sfidare o adempiere le esigenze di questa supremazia. Il confronto tra l’Io e il Sè viene identificato da Jung come una caratteristica della seconda metà della vita.
L’Io viene anche visto da Jung come qualcosa che emerge dallo scontro tra le limitazioni fisiche del bambino e la realtà ambientale. La frustrazione produce isolotti di coscienza che coagulano a formare l’Io propriamente detto. Qui le idee di Jung intorno al momento in cui si colloca l’emergere dell’Io riflettono una perdurante dipendenza delle prime concezioni di Freud. L’Io, afferma Jung, entra in piena esistenza nel corso del terzo o del quarto anno di vita. Psicoanalisti e psicologi analisti oggi concordano sul fatto che un elemento di organizzazione percettiva è presente almeno fin dalla nascita e che prima della fine del primo anno di vita una struttura egoica relativamente sofisticata è già all’opera.
La tendenza di Jung a equiparare l’Io alla coscienza rende difficile la concettualizzazione di aspetti inconsci dell’Io, ad esempio le difese. La coscienza è la qualità distintiva dell’Io; ciò però è anche in relazione alla dimensione dell’inconscienza. Di fatto, quanto maggiore è il grado di coscienza dell’io, tanto maggiore è la possibilità di percepire ciò che non è conosciuto. Il compito dell’Io in rapporto all’Ombra è di riconoscerla e integrarla, piuttosto che di scinderla e proiettarla.
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