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Quando il dubbio si fa patologico
Essere o non essere ….
Quando il dubbio si fa patologico. Chi non ha dubbi nella vita? Chi non ne ha mai avuti? Avere dubbi è utile e a volte necessario. Verrebbe da dire che non dovremmo mai fare a meno del tarlo del dubbio.
Nell’affrontare una questione o nell’analizzarla, il dubbio che si insinua in noi, ci porta, attraverso i necessari approfondimenti, fatti con la riflessione o la logica, a prendere una decisione.
Ma, se queste riflessioni sono interminabili, angoscianti e le eventuali decisioni vengono annullate da nuovi dubbi, allora dobbiamo convincerci che qualcosa non sta andando nel verso giusto.
Quando il dubbio è un disturbo
In questo caso possiamo tranquillamente sostenere che ci troviamo in una situazione di disturbo che porta la persona a sostenere uno sforzo estenuante per cercare risposte legate al dubbio stesso.
Ecco che in tale situazione si chiedono conferme o suggerimenti a parenti amici in merito al nostro dubbio.
Quando le rassicurazioni arrivano, queste ci forniscono un parziale sollievo e una momentanea situazione di serenità. Ho detto momentanea perché chi ne soffre, sa benissimo che presto i dubbi torneranno a tormentarci più di prima.
Tipologia del dubbio
Quando il dubbio si fa patologico. I dubbi possono riferirsi a fatti legati al tempo (ieri oggi e domani); a se stessi; al partner; al capoufficio, al collega, al genitore, all’amico, alla professione, etc.
I dubbi possono essere riferiti ad azioni specifiche (ho chiuso la porta? Il gas? La macchina?) oppure, in ambito relazionale (è la persona giusta? Mi ama? Mi ha detto una bugia? Mi ha tradito?).
Come possiamo vedere sono ‘domande’ che ognuno di noi si è posto nella vita, tantissime volte. Ovviamente c’è una leggera e sottile differenza che è legata alla quantità di impegno mentale impiegato.
Esempi di dubbi
A titolo di esempio, c’è una bella differenza tra il bere un cognac una volta ogni tanto e bere una bottiglia intera al giorno.
Quando il dubbio ci porta a controllare e ricontrollare infinite volte al solo scopo di calmare l’ansia, allora il dubbio assume la connotazione del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). Questo disturbo porta il soggetto a ritualizzare una serie di comportamenti tesi a placare l’ansia ad essa correlata.
La psicoterapia
Quando il dubbio si fa patologico la psicoterapia è in grado di far ritrovare un equilibrio nella persona tormentata dai dubbi, facendo un uso meno sconsiderato della propria intelligenza, anzi sfruttandola in modo più funzionale, consentendo il recupero delle proprie energie e della propria indipendenza.
Disturbi ossessivi
Quindi, il dubbio, in queste forme patologiche, appartiene alla categoria dei disturbi ossessivi ed è rappresentato da una serie di infinite domande che il soggetto fa a se stesso (e agli altri) nella disperata ricerca di una risposta che però è destinata a non essere mai certa.
Razionalmente, questo flusso di ragionamenti ci porta a porci domande sempre diverse, che a loro volta non fanno che aumentare la catena dei dubbi, fino a che ci si trova incastrati e prigionieri nella ragnatela che noi stessi abbiamo tessuto intorno a noi.
Nei casi estremi, ci troviamo in una situazione invalidante. Se pensiamo sempre alla stessa cosa, rischiamo di perderci nel labirinto che abbiamo contribuito a costruire. Il labirinto ovviamente non c’è, ma è come se ci fosse.
Le domande che abitualmente ci facciamo
Quando il dubbio si fa patologico la caratteristica delle domande che ci poniamo è tipica del ‘circolo vizioso’ che gira gira e non si ferma mai.
Insomma ci troviamo nella situazione in cui le risposte sono sempre scorrette, perché scorrette o fuori luogo, sono le domande. Il vero problema quindi, non sono le domande, ma l’incapacità di prendere delle decisioni.
Incapacità di decidere
Incapacità dovuta spesso al mettere in dubbio le capacità autonome che abbiamo ed affidarci ad una sorta di iperazionalità. Ad esempio, molti uomini si fanno domande del tipo: sono omosessuale oppure etero? Ecco questa è una domanda che non ha nulla a che fare con l’inconscio.
Non ha senso domandarsi o interrogarsi su cose razionali. Meglio sarebbe affidarsi alle proprie emozioni. Un altro esempio tipico di persone che soffrono di impotenza: prima di fare sesso, si pongono infinite domande del tipo: ce la farò? oggi sono eccitato? Mi va veramente?
Pensare troppo
Tutte domande poste a livello della coscienza che alterano un processo autonomo. Chi non ha questo problema, quando si trova nella situazione di far sesso, non si pone nessuna domanda, lo fa e basta e … tutto funziona a meraviglia.
Nel caso dei dubbi patologici, chi li ha, quasi sicuramente in cuor suo, ha le risposte ma non le ascolta. Ha perso il contatto con le emozioni, con il proprio intuito. Saprebbe cosa fare ma evidentemente ci troviamo in presenza di un conflitto tra la coscienza e l’inconscio.
Il supporto della psicoanalisi
Quando il dubbio si fa patologico, la psicoanalisi può offrire un valido contributo. Perché agisce su entrambi i fronti. Al livello della coscienza agisce su un utilizzo più funzionale delle proprie risorse, mentre al livello inconscio va alla ricerca della causa del conflitto, quasi sempre tipica dei disturbi ossessivo.
Un altro elemento scatenante questo tipo di comportamento è legato al senso di colpa .
In questo ambito, il dubbioso tende ad attribuirsi la responsabilità di tutti i mali del mondo, sia per quelle cose reali ma anche per quelle, frutto della sola immaginazione (errori cognitivi). Ogni ‘movimento’ viene osservato e censito da un super giudice interno, che raramente è giusto dal momento che è sempre pronto ad attribuirgli la colpa di tutto.
In alcuni casi, questi soggetti, anche se innocenti, giungono ad attribuirsi colpe di cui non solo sono innocenti ma a volte ne ignorano pure l’esistenza. Ecco che questa situazione porta il soggetto a credere in tutte le cose più terribili come ad esempio quello di convincersi che si è capaci di far del male a qualcuno (oppure a se stessi).
In questo caso sicuramente estremo, il soggetto si pone infinite domande a cui da infinite risposte, percepite tutte, come inefficaci. Il soggetto si annoda in un circolo senza fine che inevitabilmente sfocia nell’azione.
Mentre prima si chiedeva se la porta è chiusa, ora va a verificare che lo sia effettivamente ma, trovandola chiusa, non si accontenta di ciò dal momento che quasi sempre, per placare la propria ansia, opera affinchè la porta sia chiusa seguendo un rituale che diviene sempre più complicato.
Se questo rituale non viene compiuto esattamente (ad esempio aprire la porta fino ad un certo punto e chiuderla per 3 volte), si è costretti a ricominciare daccapo (ecco che la compulsione si è instaurata).