La timidezza e relazioni sociali
La timidezza, secondo uno studio inglese, sarebbe correlata al ruolo sociale. Sul Journal of Personality (rivista ove è stata pubblicata la ricerca), viene riportato che la timidezza varia nel tempo, quindi non è una peculiarità fissa, ma cambierebbe in funzione dei vari ruoli che il soggetto assume nel corso della sua vita sociale. Lo studio ha preso in considerazione i dati di circa 550.000 adulti ed ha evidenziato che la timidezza si associa alla occupazione, al sesso e ad altre variabili sociali e demografiche.
In sintesi, le donne sembrano essere più timide da adulte mentre gli uomini lo sono di più da giovani per poi diminuirne l’intensità con il crescere. Le donne invece sembrano più stabili.
Chi è sempre stato occupato tende ad essere meno timido di chi ha avuto periodi di disoccupazione oppure ha lavorato prevalentemente a casa. Chi lavora oppure ha lavorato nelle vendite tende ad essere meno timido degli altri.
Lo studio è stato coordinato da Nejra Van Zalk, un ricercatore dell’Università di Greenwich.
L’interesse verso questo tema viene dal fatto che subito dopo la laurea, Nejra (il ricercatore inglese), cominciò con il dottorato ad interessarsi della timidezza, trattandola più come un tratto umano e meno come uno stato, notando che la letteratura che tratta il tema, la trattava come un problema da affrontare e risolvere.
La maggior parte delle persone con questo problema, semplicemente non vorrebbero averlo. Da un punto di vista storico però, la timidezza non è stata sempre vista come un problema ma come una qualità desiderabile (in particolare nelle donne). Tutto ciò ha portato il ricercatore ad analizzare questa caratteristica, la timidezza, nei vari ambienti o eventi significativi nella vita delle persone e di come possa peggiorare o migliorare nello specifico contesto.
I dati raccolti, sono stati forniti dalla BBC della Gran Bretagna (i dati si riferivano a circa 550.000 soggetti di età variabile dai 17 ai 70 anni). Grazie a questa enorme mole di dati, è stato possibile confrontare il tasso di timidezza tra i vari ceti sociali, ma anche nei vari lavori (qualificati, non qualificati) e quelli relativi alle vendite che com’è facile attendersi, aveva un livello di timidezza tra i più bassi.
Livelli più bassi si sono riscontrati anche nelle persone che avevano una relazione stabile rispetto ai single. Un altro elemento emerso è relativo all’ambiente: c’è chi cambia perché si adatta all’ambiente e chi, invece, sceglie l’ambiente più consono alla propria timidezza (scegliendo un lavoro e non un altro ad esempio).
Un altro aspetto emerso, avrebbe dimostrato che la timidezza non è un destino ineluttabile, dal momento che le cose possono essere modificate. Ci sarebbe insomma una certa possibilità di trasformazione. Ad esempio, chi è timido, potrebbe tentare di superarle sottoponendosi a specifiche sfide. Tutto ciò potrebbe sembrare evidente ma, solo ora c’è uno studio che lo conferma.
Inoltre questo è forse il primo studio che tratta la timidezza in base al proprio ruolo sociale, basandosi su un’enorme basi di dati.
Lo studio è trasversale (cioè, si basa su dati presi una sola volta e non confrontati su base longitudinale, ovvero nel tempo). Uno studio analogo ma su base longitudinale avrebbe permesso di verificare gli effetti che i differenti ruoli sociali (acquisiti nel tempo, ad esempio, studente, lavoratore, manager etc) influiscono sul cambiamento.