Sindrome di fatica cronica – cosa è
La sindrome da fatica cronica, viene detta anche encefalomielite mialgica, forse meglio nota dalla sigla inglese CFS/ME (Chronic Fatigue Syndrome – ), è una malattia multifattoriale idiopatica (da “ἴδιος” (idios), se stesso e “πάθος” (pathos), sofferenza. Indica una malattia non dovuta a cause note, o meglio ancora, una malattia senza causa apparente). Insomma, è tipico di quelle malattia di cui se ne ignora l’origine ma che persiste da almeno 6 mesi con una serie di sintomi tra i più vari.
Sindrome di fatica cronica – definizione
Tale malattia, viene descritta in un rapporto del 2015 dallo IOM (Institute of Medicine) come una malattia complessa, cronica, sistemica e grave; le sue caratteristiche principali sono la stanchezza, l’alterazione del sonno, dolori vari, eventuali disfunzioni cognitive, disfunzioni autonomiche (ovvero disfunzioni del sistema nervoso autonomo), dolori vari, …
Un ulteriore aggiornamento del 2017 definisce tale malattia come seria, di lungo periodo (si cronicizza), ove vengono colpiti più organi, impedendo o riducendo le normali attività del soggetto, costringendoli spesso a letto.
E’ una malattia tipicamente femminile, ma può prendere anche (raramente) ai bambini e gli adolescenti, ha un’incidenza che va dallo 0,4% all’1%, quindi, anche se i numeri sono molto bassi, non può essere considerata una malattia rara.
Sindrome di fatica cronica – sintomi
Ogni cosa viene fatta con estrema fatica, ci sono disturbi del sonno (che aggravano lo stato generale), in seguito ad eventuali sforzi si ha un peggioramento della sintomatologia, a cui possono seguire stordimento, difficoltà alla concentrazione, senso di stordimento. Se è vero che il riposo potrebbe non risolvere lo stato di affaticamento, eventuali sforzi, anche piccoli, sia fisici che mentali, aggravano ulteriormente il quadro. Il paziente lamenta una grande e debilitante stanchezza (il cui riposo non risolve il problema). Tra i sintomi si sono notati dolori muscolari e articolari, disturbi di concentrazione, della memoria e del sonno. Ulteriori dettagli:
- I malati di CFS/ME non sono in grado di fare ciò che facevano prima di ammalarsi;
- p. es, si riduce la capacità di fare una doccia, preparare un pasto, … e tutte le altre cose che prima svolgevano regolarmente;
- Chi ha questa malattia, ha difficoltà ad andare a scuola, al lavoro (e quindi a mantenerlo), riduce drasticamente la vita sociale propria (amicizie) e della propria famiglia;
- Può durare anni, e potrebbe portare, alla lunga, a qualche disabilità;
- Un paziente su quattro, viene relegato a casa oppure a letto per lunghi periodi a causa della malattia.
E’ una malattia che, in Italia, colpisce circa 200mila individui anche se circa il 90% dei malati non ha ricevuto una diagnosi.
Sindrome di fatica cronica – aspetti psicologici e depressivi
E’ molto difficile, per una persona efficiente e in buona salute, accettare di ridefinire, al ribasso, la propria vita; è difficile accettare i limiti che la malattia impone, chiedendogli di rimanere ottimista in merito alle possibilità di tornare come prima. Chi ha ripreso le proprie attività prematuramente ha dovuto fare i conti con una pesante ricaduta.
E’ indispensabile ridisegnare la propria quotidianità, forse anche in modo definitivo; è necessario riposarsi ed eliminare ogni fonte di stress.
Dagli studi condotti sul CFS, emergerebbe che circa il 10-30% dei pazienti con questa patologia, hanno avuto, in precedenza, uno o più episodi di depressione, mentre il 50-70% hanno sviluppato la depressione negli anni dopo l’insorgenza di questa malattia. L’indice di depressione di questi malati è superiore a quella di tutti gli altri, da cui si evincerebbe che una persona che è stata depressa, tende ad avere un fattore di rischio più alto nello sviluppare la CFS ma anche il contrario, ovvero un malato di CFS ha maggiore facilità a sviluppare la depressione. Insomma un circolo vizioso.
La rivista Mocrobiome, ha pubblicato uno studio della Cornell University. Per la prima volta sembrerebbe sia stati individuati alcuni marcatori biologici all’interno dell’intestino che sono associati alla malattia. La causa di questa malattia va quindi cercata in un problema intestinale, all’interno di un microbioma intestinale anomalo? Speriamo che la ricerca sia in grado di fare progressi.
Tutti questi studi, escluderebbero, come eventuale causa della malattia, la presenza di una forma di nevrosi isterica oppure ipocondriaca, men che mai in una forma di depressione così come è stato esplicitato sopra ma, come oramai sembra acclarato dai vari studi scientifici di un’anomalia presumibilmente di natura biologica, localizzata all’interno dell’intestino.
Sindrome di fatica cronica – in psicosomatica
Una chiave di lettura, dalla prospettiva psicosomatica potrebbe essere sintetizzata con una frase del tipo: vivere violando la propria indole, o al contrario, fare cose che sono in contrastare dalle proprie resistenze. Essere stanchi, stancarsi, affaticarsi, sentire il peso, … è parte integrante della vita. Rappresenta un limite, oltre il quale c’è l’esigenza di dare ristoro al proprio corpo, ma anche alla propria anima. Quando si va in montagna, ad esempio, si fatica molto e alla fine c’è l’esigenza di cambiare (ridurre) il ritmo se non addirittura fermarsi per una ricarica.
Per mantenere la salute, rappresenta un elemento regolatore tra l’attività e il riposo. Mi riposo per poter continuare a lavorare. La stanchezza quindi, ,si risolve con il riposo ma,, quando ciò non accade, cioè quando nonostante il riposo, non ci si sente riposati, anzi ci si sveglia più stanchi di quando siamo andati a dormire, è un chiaro sintomo di qualcosa che non va come dovrebbe. In termini energetici, potremmo dire che siamo in presenza di uno scompenso tra la carica e il consumo.
La sindrome, quindi, in molti casi potrebbe esprimere un eccesso di attività, prolungato nel tempo e non compensato da un riposo congruo.
Questa modalità, potrebbe essere caratterizzata da un iperattivismo continuo, oppure da un esagerato senso del dovere (a volte alimentato dal senso di colpa) e anche da una pulsione incontrollata legata all’arrivismo.
Questo meccanismo perverso, è a volte, alimentato dal fatto di non concedersi il tempo necessario, ad esempio, in una convalescenza (come conseguenza di una malattia, magari importante); lo stesso dicasi per una malattia meno invasiva, ad esempio una influenza a cui non si da il tempo necessario per una completa guarigione.
Non di rado, la sindrome di stanchezza cronica potrebbe essere il primo e unico segno di una depressione ben celata che trova senso nel solo fatto di sentirsi molto deboli.
Quando ci si sente apatici, delusi, privi di entusiasmo, oppure in presenza di un obiettivo mancato.
Esistno anche situazioni in cu mancano riferimenti precisi, ma che però ci si sente appesantiti, in attrito, si assiste ad una lieve, impercettibile ma costante perdita di energia ove i risultati sono minimi, rispetto all’energia impiegata.
In questi casi occorre rallentare, fermarsi (raramente un fine settima é sufficiente). Rallentare con le attività ma anche con la ‘velocità’ con cui le cose vengono fatte.
Tirare avanti, stringere i denti, resistere, … sono tutte misure fallimentari perché ottengono il risultato contrario, esasperando ancora di più il problema.