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L’ascolto del minore: le buone prassi

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L’ascolto del minore: le buone prassi

Il 14 ottobre 2017 è stata pubblicata la IV CARTA DI NOTO – Linee guida per l’esame del minore.

Questo documento è di fondamentale importanza per chi lavora come psicologo in ambito giuridico, perché descrive, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, le migliori prassi, da attuare quando si raccoglie una testimonianza di un minore.

E’ importante, innanzitutto, sottolineare che la memoria, non è un riproduzione precisa di eventi, ma piuttosto un processo dinamico di costruzione e ricostruzione: le informazioni provenienti dall’ambiente esterno, infatti, possono interferire nel processo di codifica, di consolidamento e/o di richiamo del ricordo. Tutto questo è ancor più vero nei bambini, per via della loro maggiore suggestionabilità, della loro dipendenza dal contesto ambienta e della loro difficoltà a comprendere alcune informazioni ed i meccanismi sottostanti. Nella fase di sviluppo precedente la completa acquisizione del linguaggio (3-4 anni circa) i ricordi non possono essere ritenuti accurati e credibili, se non confermati da riscontri indipendenti. Inoltre, i bambini sono da considerarsi testimoni ‘fragili’: facilmente infatti, di fronte ad un adulto, possono mostrarsi compiacenti (ossia tendono a confermarsi a ciò che presuppongono sia desiderato dall’adulto) e suggestionabili (ossia, si convincono che le cose siano andate in un certo modo, come più o meno marcatamente suggerito dall’adulto). Tutto questo ha sicuramente delle fortissime ripercussioni in ambito giuridico e nelle testimonianze: il fenomeno delle false denunce di abuso, soprattutto nei casi in cui ci sono forti conflitti interfamiliari, è, ahimè, esistente!

La Carta di Noto, come detto in precedenza, stabilisce le buone prassi a cui rifarsi per l’ascolto del minore.

Al primo articolo stabilisce, innanzitutto, che l’ascolto del minore, vittima o presunto tale, deve avvenire da parte di esperti (psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili), in collaborazione con altre figure professionali (magistrati, avvocati, Polizia Giudiziaria), che abbiano specifiche competenze ed una formazione aggiornata in psicologia forense e delle testimonianza. Inoltre, le dichiarazioni devono essere raccolte utilizzando protocolli di intervista basati sulla lettura internazionale. Esempi di questi protocolli sono l’ELABORAZIONE NARRATIVA (nella fase di racconto libero) e la STEP WISE INTERVIEW.

L’elaborazione narrativa (Saywitz, Snyder, Lamphear, 1990) è una tecnica a cui il bambino deve essere addestrato prima di iniziare l’intervista vera e propria. Ai bambini viene insegnato ad organizzare gli elementi di un racconto in cinque categorie, rilevanti dal punto di vista giuridico: personaggi, setting, azioni, conversazioni, conseguenze. Ogni categoria è rappresentata da un disegno, che facilita la memorizzazione; nella fase di addestramento, i bambini vedono delle scene videoregistrate e successivamente imparano a raccontarle utilizzando le immagini per ricordare il maggior numero di elementi per ogni categoria.

La Step Wise Interview (Yuille e coll., 1989-1993) è una intervista investigativa costituita da 10 fasi, da eseguire nell’ordine stabilito, al fine di ottenere un’intervista metodologicamente corretta.

Le fasi sono: costruire il rapporto, preparare il bambino all’intervista, verificare il livello di sviluppo cognitivo, adattare l’intervista al bambino, introdurre in modo esplicito l’argomento, racconto libero, domande aperte, domande chiuse (se necessarie), strumenti ausiliari (se necessario), conclusione.

Ad ogni modo, la letteratura internazionale è concorde nel ritenere che l’intervista deve prevedere una valutazione del bambino, antecedente al racconto dell’episodio per il quale si raccoglie la testimonianza, volta a comprendere le modalità espressive (ad es. se conosce e come chiama le diverse parti del corpo) e le conoscenze in merito ad argomenti legati alla sessualità.

A questo proposito, nella Carta di Noto si fa esplicito riferimento alla necessità di valutare l’idoneità del minore a testimoniare sui fatti oggetto di indagine (art. 10), valutazione che riguarda, in generale, le funzioni cognitive quali la memoria, l’attenzione, la capacità di comprensione e di espressione linguistica, la capacità di individuare la fonte delle informazioni, la capacità di discriminare tra realtà e fantasia, il livello di suggestionabilità e di maturazione psico-affettiva. Nello specifico, inoltre, tale valutazione va ad indagare l’abilità del minore di organizzare e riferire il ricordo, in relazione alla complessità dell’esperienza che si suppone sia avvenuta e la presenza di suggestioni che possono aver interferito nel racconto (art. 13).

E’ importante, infine, ricordare che non esistono segnali psicologici, emotivi e comportamentali che siano chiari indicatori e rivelatori di vittimizzazione: non è scientificamente fondato identificare quadri clinici riconducibili ad un abuso, né ritenere alcun sintomo una prova di esso.

Quelli approfonditi sono solo alcuni degli aspetti da tenere in considerazione durante l’acquisizione di una testimonianza da parte di un minore. La prassi in questa materia è particolarmente complicata, innanzitutto perché spesso si tratta di casi di abuso e maltrattamenti, reati riprovevoli e sottoposti ad un aspro giudizio morale; inoltre, trattandosi di un minore e dovendo necessariamente tutelare la sua salute psicofisica, è necessario avere una formazione altamente specifica e saper come tutelare chi ci sta di fronte.

A cura della d.ssa Silvia D’Andrea

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