La recente legge sull’affidamento condiviso (8 febbraio 2006 n. 54) sottolinea in primis il concetto di bi-genitorialità allargata, intesa come necessità di ampliare la prospettiva di frequentazione e rapporto da parte del minore con entrambi i gruppi familiari (art. 155 c.c., 1° comma: “Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare i rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”). Ciò presuppone una sempre maggiore necessità di approfondire le definizioni relative al concetto ancora generico di “capacità genitoriali”.
Questa definizione, non clinica, può diventarlo nel momento in cui tali capacità potrebbero essere messe in discussione non per motivi psicologici, tendenze e orientamenti, ma per difficoltà e disturbi che incidono o potrebbero incidere sulle possibilità di fornire al minore-figlio gli strumenti identificativi, interni ed esterni all’Io, per lo sviluppo della personalità.
Proprio il tema della capacità genitoriale viene maggiormente richiamato dall’applicazione della nuova legge, in quanto si sta assistendo a situazioni in cui il genitore affidatario in modo esclusivo, per difendere il proprio ruolo, giuridico ma ancor prima psicologico, trasmette il dubbio sulla possibilità che l’altro genitore possa essere negativo per il minore, prendendo spunto dall’art. 155 bis della stessa legge, in cui si afferma la necessità dell’affidamento esclusivo allorchè “Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”.
Quindi, a fronte di una conflittualità al momento non diminuita, interviene soprattutto la necessità di definire il concetto di capacità genitoriali, per poter valutare, al di la della psicopatologia conclamata, quando è possibile che un genitore non agisca direttamente a favore del figlio, ma al contrario possa procuragli difficoltà e, infine, disturbi di natura psicopatologica.
Dunque diviene fondamentale, come valutazione delle capacità genitoriali da parte dello psicologo forense, in senso diagnostico e prognostico, la possibilità di individuare le risorse psicologiche interne alla famiglia e ai suoi componenti singoli, per poter suggerire modalità di affidamento adatte alla specifica situazione, in riferimento ai rapporti e alle relazioni fra i componenti del nucleo familiare. Ciò si spiega con la necessità di privilegiare sempre l’interesse esclusivo dei minori (art. 155 c.c.) e quindi l’opportunità per gli stessi di poter avere rapporti sufficientemente equilibrati e adeguati.
A.I.P.G. Newsletter n. 30 luglio-settembre 2007
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