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La morte del corpo coincide con la morte della mente?

La morte del corpo coincide con la morte della mente
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Foto di Andreas Lischka da Pixabay

Morte del corpo e morte della mente

La morte del corpo coincide con la morte della mente? Qualcuno sostiene che prima o poi moriremo tutti. Ma, ne siamo certi?

Sappiamo benissimo che il nostro corpo cesserà di funzionare nel momento in cui gli organi vitali cessano di dare il loro contributo. Eppure …

Progetto Gilgamesh

E’ noto a tutti che la vita media delle persone stia lentamente migliorando. Ma non è stato sempre così, infatti:

  • nel tardo paleolitico non superava i 37 anni;
  • nel neolitico si poteva arrivare anche a 60 anni;
  • nell’età del bronzo, la speranza di vita era di 60 anni;
  • ad Atene si poteva sperare di arrivare a 41anni;
  • nella Roma classica si torna ai 60;
  • nell’alto medioevo la popolazione benestante poteva attestarsi tra i 50 e gli 60 anni;
  • nel tardo medioevo inglese raramente si superava i 64 anni.

Oggi, l’età media nel mondo è di circa 67 anni per i maschi e di 71,1 per le femmine (dato del 2016 secondo il World Factbook);

In Italia l’età media è di 83.24, in Spagna  83.33, in USA 78.54.  

Ai fini dell’articolo non ci interessa approfondire oltre, ma solo evidenziare che le attese di vita media aumentano nel tempo con il progredire di tanti fattori (ambiente, alimentazione, sanità, etc).

Esiste un progetto, chiamato Progetto Gilgamesh (ma anche recenti studi di Epigenetica), i cui studiosi, ipotizzano (in modo anche serio sembrerebbe) che entro il 2050, alcuni umani (quindi non tutti) potrebbero morire solo (solo?) come conseguenza di un trauma; questi fortunati sarebbero quindi amortali.

Amortali cioè, coloro che senza un trauma fatale (incidente aereo ad esempio) potrebbero vivere in eterno.

Ipotesi del resto non priva di fondamento, infatti i progressi medici e i miglioramenti sociali e ambientali hanno reso possibile, negli ultimi cento anno, di allungare il tempo di vita medio.

Noi pretendiamo che la vita debba avere un senso, ma la vita ha precisamente il senso che noi stessi siamo disposti ad attribuirle.

Hermann Hesse

Tutto si baserebbe sul fatto che noi umani saremmo in grado (con la tecnologia) di garantire eterna salute a tutti i nostri organi (non si ammalerebbero mai o, laddove dovesse servire,  potrebbero essere sostituiti con un trapianto ad esempio) e naturalmente,  non invecchieremo mai (le cellule sarebbero sempre rinnovate).

Anche in questo caso non ci interessa approfondire, ma solo informare su questa possibilità.

Istinto di vita e di morte

La letteratura psicoanalitica ha ampiamente trattato il tema di questi due istinti presenti in ogni essere umano.

Freud, (Al di là del principio del piacere, 1920) ipotizza che entrambe le pulsioni agiscono in noi (quella di morte sarebbe più forte).

Freud sostiene che la pulsione di morte non è rappresentabile a livello psichico (l’inconscio ignora il concetto di morte e infatti si considera immortale).

La parte inconscia, secondo Freud, contiene gli istinti i quali non prevedono concetto di negatività. Il ‘negativo’, semplicemente non esiste, quindi tutto è possibile.

A quel livello (inconscio) i contrari si fondono e coincidono (bene e male sono la stessa cosa), viene ignorato il concetto di negazione.

Per questo la morte è, al livello della coscienza, un aspetto negativo, mentre nell’inconscio semplicemente, non esiste

Ma allora, tutti i pensieri legati alla paura di morire (chi non ci ha pensato almeno una volta?) da dove traggono origine?

Il piú terribile dunque dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo no, non c’è la morte, quando c’è la morte, noi non siamo piú.  (Epistola a Meneceo, 124-127 – Epicuro).

La paura della morte

La paura della morte quindi, sarebbe solo una metafora perché simula un’angoscia diversa; non quella della morte quindi,  bensì quella di un senso di colpa per un desiderio che ovviamente è rimosso.

“l’angoscia della morte, la cui azione subiamo più spesso di quanto non crediamo, è qualcosa di secondario e nella maggior parte dei casi deriva dal senso di colpa.” (Freud, 1915)

Nel pensiero di Freud è insito il concetto che la morte sia l’unica cosa certa, un appuntamento a cui nessuno può sottrarsi e la vita è solo una breve parentesi (tra il prima – il tempo dell’universo fino ad oggi e il dopo – il tempo dell’universo dopo di noi – miliardi di anni prima – 80 anni circa l’attesa di vita di ognuno di noi – e miliardi di anni dopo).

Se dobbiamo trovare un mistero, ammettendo ci sia, sta nella vita, quei 80anni, e non nella morte (fatta di miliardi di anni).

Come dicevamo, poiché per l’inconscio il concetto di morte non esiste, Freud ribadisce che non può esserci nessuna angoscia relativa alla morte, dal momento che le uniche angosce hanno a che fare solo ed esclusivamente con e nella vita.

Anima e morte di Jung

Facciamoci una domanda in merito al fatto se la morte del corpo coincide con la morte della mente: cessa il fenomeno psichico dopo la morte del corpo?

Secondo la Psicologia Analitica, la risposta è NO!

Il cervello, non coincide con la psiche. E’ vero che la psiche funziona finché funziona il cervello, ma la psiche non è il cervello e quindi, almeno sulla base di ciò che conosciamo, la psiche non coincide con il cervello.

Per Jung la morte è (solo) un cambiamento di stato. Poi se questo cambiamento sia meglio o peggio è un ulteriore non senso e il tentativo di cercarlo sarebbe solo un esercizio nevrotico.

Jung (per qualcuno banalizzando) afferma con un inquietante candore, che morendo, si tornerebbe ad essere quello che si è sempre stati. Viene lecito chiedere cosa, ma questa domanda è un altro non sense, senza risposta.

Chi la cerca è destinato a far ammalare l’anima (come sta l’anima di chi ha paura, in modo ossessivo, della morte?).

Solo l’uomo (contrariamente agli animali) può pensare alla morte e poiché lo pensa ha l’obbligo morale di inventarsi continuamente una quotidianità. Cosa che poi, in effetti, tutti noi facciamo.

Cosa facciamo la mattina quando ci svegliamo? Ci alziamo e semplicemente, facciamo quello che dobbiamo fare … o no?

Per non vivere morendo ogni giorno, ogni giorno, HOMO deve spingersi continuamente all’azione anche in presenza di difficoltà.

In cosa consiste la nostra immortalità

In merito alla nostra domanda, la morte del corpo coincide con la morte della mente, Homo, la cui attesa di vita è quella che abbiamo descritto sopra, ogni mattina si alza e fa quello che deve fare. La sua coscienza è vigile e orientata verso uno scopo.

La psicoanalisi ci ha insegnato che non siamo padroni di noi stessi e che quindi alle volte, agiamo senza senso, senza un apparente scopo, facendo  addirittura gesti di auto sabotaggio.

Ciononostante la nostra coscienza, nel godimento o nella sofferenza (psichica, non fisica) sa di vivere e questo perché pensa (cogito ergo sum).

Non sapremo mai, tuttavia,  quanto tempo ci resta da vivere, non sapremo mai quanto tempo abbiamo, sappiamo solo che man mano che ci avviciniamo all’attesa di vita media, il tempo rimanente si assottiglia sempre di più.

Pensiamo continuamente durante la veglia e sogniamo durante il sonno di cui abbiamo coscienza anche se spesso non ce li ricordiamo. La nostra mente pensa continuamente e pensando percepisce di essere vivo, di esserci.

La sensazione è presente nella mente, sempre, anche un attimo prima di morire; l’attimo dopo non sappiamo cosa fa, perchè semplicemente non esiste.

Ecco perché siamo eterni.

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