La paura di cambiare in psicoterapia
Chi decide di affrontare una psicoterapia, lo fa con il desiderio di star meglio; tuttavia può averne paura, al punto paradossale di desiderare di non cambiare.
La paura del cambiamento in psicoterapia
Quando ci si rivolge ad un terapeuta, lo si fa perché si vuol trovare sollievo dai propri sintomi, che possono essere dovuti all’ansia, alla depressione, oppure ad altre situazioni emozionali percepite come dolorose.
Ciononostante, può accadere e accade, che la guarigione tarda ad arrivare, il più delle volte perché diviene difficile smontare tutte le resistenze messe in atto. Questa fatica nello smontare le difese dell’Io, sono un ostacolo a quel cambiamento necessario per poter effettivamente star meglio.
Perché si ha paura del cambiamento
La stragrande maggioranza delle persone ha difficoltà a cambiare tutto ciò che si porta dietro dall’infanzia, siano esse positive oppure negative.
Dalla nascita, ognuno di noi ha costruito per moltissimo tempo, un forte legame con i genitori per ovvi motivi: sopravvivenza, bisogno di amore, bisogno di nutrimento, etc.
Ognuno di noi ha sentito da bambini (e sente tutt’ora) il bisogno di affetto, amore, protezione da chi (genitori) è in grado di fornire tutto ciò, ovvero provvedere alle fondamentali necessità e bisogni che ogni bimbo ha.
Dal momento che il mondo ideale non esiste, capita anche che i genitori non possiedono quelle qualità e in tal caso i bambini crescono soffrendo di ansia, più o meno elevata, che rappresenta una seria ipoteca per il benessere del bambino che poi avrà ripercussioni nella vita adulta.
La fase della fantasia che tutto vada bene
Cosa fanno i bambini in una tal situazione? Si adeguano alle circostanze. Tale adeguamento varia da caso a caso.
Una tipica situazione è quella ove i bambini, per difendersi dall’ansia, immaginano un legame idilliaco (che non c’è) con i loro genitori.
In tal modo, formano illusoriamente un legame con i genitori con cui sentono (o desiderano) un legame diverso e più pregnante.
Questo meccanismo di difesa offre la classica ‘zona di confort’ che protegge e compensa (ovviamente solo in parte), ciò che poi, in definitiva manca.
Tali legami frutto della fantasia compensatoria (e quindi non reali) sono più profondi quanto è più profonda la sensazione di rifiuto, dolore, ferite, etc.
Tale fantasia del legame di cui sopra, è necessaria perché attenua l’ansia ed offre un parziale sollievo. A tutto ciò si aggiunge la negazione di tutto ciò che manca dal momento che gli abusi, le mancanze, le sofferenza, la solitudine, vengono tutti minimizzati.
La fase iniziale del processo
In questa fase i bambini non si percepiscono come amabili, bensì come cattivi o inadeguati. Questa sensazione diviene la base su cui costruiscono la loro vita da adulti. Loro ‘diventano’ così. Quella diviene la loro identità, ovvero il modo con cui si percepiscono.
Da questo punto in poi, cioè da quando hanno posto questa struttura, qualsiasi tentativo di rimodulazione di quella identità, viene accompagnata da sentimenti di disagio e di tensione.
Da ciò ne consegue che qualsiasi nota disturbante relativa al legame strutturato con la fantasia, non può che portare ad un incremento dello stato di ansia.
Cosa succede quando si tenta di abbattere le difese
Quando si tenta di abbattere le difese, e se ne percepiscono le prime crepe, il paziente potrebbe spaventarsi. Si percepisce che la vita interamente vissuta dietro barricate che stanno cedendo, mettono a repentaglio la propria salute psichica.
La psicoterapia, che attua un cambiamento, in realtà sfida la idealizzazione operata sui genitori; l’ipotesi di vedersi migliori di ciò che abbiamo sempre pensato (essere poco amabili, cattivi, disprezzabili, etc) viene vissuta non come una liberazione ma come una minaccia, un pericolo.
Ecco che, invece di sentirsi meglio accade esattamente il contrario dal momento che i progressi vengono negati, il disagio aumenta, … generando un blocco del percorso terapeutico.
Quante volte abbiamo sentito dire che la psicoterapia potrebbe far star peggio?
Molta gente effettivamente, anche non in psicoterapia, è terrorizzata dai cambiamenti, piccoli o grandi che siano. Ogni cambiamento, per queste persone, è vista come una minaccia, dal momento che destabilizza tutte le difese messe in atto fino a quel momento.
L’idea del cambiamento mette in crisi il modo contraddittorio ove abbiamo collocato i nostri genitori, o meglio la relazione con essi.
Smantellare questa costruzione si porta dietro sentimenti di solitudine, senso di perdita, di vuoto, … che possono essere percepite come particolarmente dolorosi.
Angoscia e messa in discussione del legame sono ovviamente inconsce. Quando quella connessione viene messa in discussione, il paziente si sente in pericolo.
Ecco, questa è una delle classiche situazioni in cui il terapeuta avverte la resistenza al cambiamento del paziente.
Come si promuove il cambiamento
L’alleanza terapeutica vorrebbe che il paziente rielabori in modo realistico tutto ciò che è successo nella propria infanzia, che collochi i genitori in una posizione più veritiera e non su un piedistallo idealizzato e che nel fare ciò elimini l’auto distruttività e l’eccessiva autocritica.
Sappiamo bene e lo abbiamo detto sopra che le difese, sono messe in atto a protezione della nostra vulnerabilità, ma finché non vengono eliminate per essere sostituite da una percezione più idonea.
Il legame costruito con la fantasia va spezzato. Attraverso una forma di regressione costruttiva, il paziente deve rielaborare l’immagine negativa che ha di se (frutto di una eccessiva difesa, di un errore cognitivo, …) anche perché ne ha condizionato tutta l’esistenza.