Nell’ambito degli interventi previsti in Italia in ordine alla tutela dei minori privi di un valido riferimento familiare, un posto particolarmente rilevante occupa la legge 184 del 1983 che si propone di disciplinare in modo organico l’istituto dell’affidamento eterofamiliare. Nel ribadire il diritto del bambino ad essere educato nella propria famiglia, contemplando il ricorso all’Istituto solo come “extrema ratio”, le legge stabilisce che, comunque, all’affidamento si ricorra solo temporaneamente, in attesa di una soluzione definitiva ai problemi che rendono “non idoneo” l’ambiente educativo della sua famiglia d’origine. E’ fondamentale l’affermazione della legge secondo la quale “l’affidatario deve agevolare i rapporti fra il minore e i suoi genitori e favorirne il reinserimento nella famiglia d’origine”. L’affido, secondo questa lettura, rappresenterebbe per il bambino una risorsa proprio in quanto sarebbe in grado di salvaguardare il “legame” tramite l’esperienza quotidiana con altri adulti in funzione genitoriale, qualora i genitori naturali siano impossibilitati ad esercitare tale funzione. Cruciale quindi, diviene il concetto di “temporaneità” del provvedimento: dal punto di vista del minore questo aspetto può costituire al tempo stesso un rischio o una risorsa. Si può definire “a rischio” il bambino che vive l’affido “come se” fosse per sempre, tagliando completamente i ponti con le proprie origini e non accettando di vedere gli affidatari non come veri genitori: in questo senso la temporaneità può essere vissuta drammaticamente e la conclusione dell’affido può scatenare reazioni di negazione e di rifiuto pericolosi per la salute psichica del bambino e controproducenti per la buona riuscita dell’intervento. E’ però possibile e auspicabile, che tutto il “congegno” dell’affido funzioni in modo tale da salvaguardare la bontà del legame familiare, al di là dell’ambito interno del quale esso ha potuto svilupparsi: il rientro in famiglia dopo l’affido, sarà solo un passaggio naturale ed atteso dal bambino al quale – da una parte – non sarà stata negata la possibilità di vivere la sua crescita in un ambiente idoneo, ma che – dall’altra – avrà avuto contemporaneamente la possibilità di salvaguardare il riferimento alla propria personale storia familiare e alle proprie radici.
Occorre in ogni modo ricordare che il ruolo di chi presta la propria competenza in queste delicate situazioni è soprattutto quello di connettere costantemente tra loro il pensiero e l’azione, agendo sul mondo esterno e rispondendo con l’intervento alle pressioni urgenti della realtà, ma nella volontà di lasciare spazi ad una riflessione che conduca a comprendere sempre più profondamente il mondo interno che si muove ed evolve in ciascun individuo e in ogni sistema relazionale.
A. Quadrio, G. De Leo “Manuale di Psicologia Giuridica”, Edizioni Led, 1995