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Il mito dell’eroe

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Il mito dell’eroe

A questo punto dell’evoluzione della specie, maschio e femmina appaiono chiaramente diversi. Con la conseguente celebrazione di lui che ha la capacità di imporsi su di lei. Compaiono comportamenti e caratteri sessuali secondari.

1) La nascita dell’eroe

Questa è la fase del Mito dell’Eroe in cui avviene una sostanziale trasformazione a livello psichico: l’Io diventa eroico e si assume la responsabilità di fare fronte allo strapotere dell’inconscio ed affermare la propria forza e la propria esistenza contro quelle forze regressive che tendono a sopraffarlo. Questa fase è importantissima nella costruzione della personalità di ogni singolo individuo. È la lotta con il Drago – simbolica uccisione della madre. Una prova che l’eroe deve superare contro le istanze regressive emotive ed istintive che tentano di impedire l’accesso al “tesoro”.

Nella teoria d Neumann esistono tre tipi di eroi: quello estroverso che tende all’azione che cambia il mondo; quello introverso che è un portatore di cultura. Entrambi questi eroi agiscono creativamente per la conquista del nuovo che giungerà quando l’eroe avrà salvato la propria parte femminile (principessa) finalmente liberata. Il terzo tipo di eroe non ha come fine di cambiare il mondo, ma è proiettato al cambiamento di sé stesso. Neumann sostiene che anche in questo modo l’eroe compie un gesto importante per l’umanità.

Lo stadio successivo è quello dell’uccisione del padre e questo permette all’eroe di rappresentare la sua nuova coscienza: sostituisce cioè il vecchio ordine, la vecchia legge con la nuova legge. Questo stadio rappresenta, soprattutto nel mondo patriarcale, l’unica possibilità per l’emergere dei nuovi valori. Senza questa fase l’eroe non può prendere contatto con le proprie forze creative e con la propria duplice natura (materiale e spirituale).

È chiaro che questo duplice confronto, prima con la madre e poi con il padre, è archetipico e rappresenta l’incontro con forze transpersonali, ed è proprio questo che porta l’IO alla nascita della responsabilità e delle sue istanze.

Quindi, il primo compito evolutivo dei partner è proprio quello di “pensarsi come coppia”. Questo implica:

  • Dietro l’uccisione del padre/madre c’è, dal punto di vista ontologico, il distacco dalla famiglia d’origine, inteso non come brusca rottura dei legami affettivi con i propri familiari, ma come delimitazione di un nuovo confine, quello tra la famiglia attuale, con le sue regole, le sue esigenze, i suoi progetti, e quella d’origine, che dovrà rispettare (o imparare a farlo) gli spazi e l’autonomia della nuova famiglia;
  • l’identificazione del/della partner come interlocutore unico (leggi sotto la conquista del tesoro) per la contrattazione, la discussione, la definizione delle regole della coppia: questo è particolarmente difficile ed importante quando le famiglie d’origine cercano di “dire la loro” in merito a come dovrebbero relazionarsi tra loro i partner, o quando uno dei due cerca il conforto ed il supporto dei suoi familiari nelle sue “battaglie” contro il/la partner;
  • l’accettazione del/della partner come altro da sè: questa difficoltà sorge soprattutto quando si pretende di cambiare l’altro, o si pretende che l’altro cambi per rispondere ai nostri desideri ed alle nostre aspettative. Se è vero che ogni rapporto può essere l’occasione per mettersi alla prova e crescere, in risposta alle richieste che ogni relazione comporta ad ognuno dei partner, è pur vero che, alla base della sofferenza di molte persone c’è l’idea irrazionale “Se mi amasse veramente, cambierebbe per me”, oppure “Grazie al mio amore, lui/lei cambierà”;
  • l’apprendimento di modalità di comunicazione funzionali: molti conflitti si mantengono in vita grazie a canali di comunicazione interrotti, disfunzionali, aggressivi. Classico è l’esempio di uno dei due partner che tiene il broncio per giorni all’altro per farlo sentire in colpa, o che usa toni aggressivi, ad esempio insultando o deridendo sarcasticamente; o, più semplicemente, la mancata formulazione di richieste esplicite (“Non glielo devo chiedere io, dovrebbe farlo lui/lei spontaneamente!”)

L’Eroe è per Neumann una figura esemplare poiché nel suo comportamento, nelle sue lotte e traversie egli interpreta ciò che ogni singolo individuo dovrà vivere.

Sentiamo Neumann.

“Con il mito dell’eroe ha inizio una nuova fase dell’evoluzione per stadi. Il baricentro si è spostato in maniera radicale; il mito non possiede più quella natura prevalentemente cosmica e universale che caratterizzava sempre il mito della creazione, bensì si è definitivamente scoperto che il centro del mondo è là dove è situato l’uomo. Dal punto di vista dell’evoluzione per stadi ciò significa che nel mito dell’eroe non solo la coscienza egoica raggiunge la sua autonomia, ma anche che la personalità totale si manifesta distaccandosi dalla natura, sia questa il mondo o l’inconscio… L’eroe è quindi il precursore archetipo dell’uomo in genere, il suo destino è un esempio a cui l’umanità deve conformarsi, e di fatto si è sempre confermata, certo come a un ideale irraggiungibile e mai realizzato, ma comunque in misura tale che gli stadi del mito dell’eroe fanno parte degli elementi costitutivi dello sviluppo e della personalità di ogni singolo individuo”.

2) La conquista del tesoro

Il lungo e travagliato cammino per giungere alla pienezza della propria coscienza è ormai arrivato alla meta finale. Siamo passati attraverso una serie di grandi miti, comuni praticamente a tutta l’umanità: dall’Uroboros alla Grande Madre, dalla Scissione degli opposti all’Eroe.

E’ l’Eroe che, avendo ormai acquisito la propria totale autonomia, ha soltanto bisogno di realizzarsi concretamente e compiere la propria evoluzione psicologica attraverso una esperienza forte: questo avviene con la lotta per conquistare il “tesoro”, come aspetto del mito della trasformazione.

Il tesoro è qualcosa di prezioso e difficile da ottenere: può trattarsi della prigioniera da liberare, come di oro, pietre preziose, acqua della vita, coppa magica, elisir di lunga vita, mantello volante, erba che guarisce, anello dei desideri, pietra filosofale. Ogni mitologia ha un suo specifico simbolo che rappresenta il tesoro.

La prigioniera da liberare costituisce la versione più comune: alla fine essa sposa l’Eroe che l’ha liberata e ciò rappresenta il perfezionamento del rituale della fertilità. Ma non basta. Oltre all’aspetto relativo alla scoperta dell’eros, vi è anche l’incontro col Tu, cioè con l’altro e, più in generale, col mondo.

C’è un’apertura alla ricerca della compagna in un ambiente più esteso, altro, straniero: è l’affermazione della esogamia, cioè della acquisizione del coniuge al di fuori del proprio gruppo.

Il combattimento col drago simboleggia la tappa finale del processo di trasformazione del maschile nei confronti del femminile.

Il maschile si separa definitivamente dall’archetipo della Madre e l’uomo si unisce alla donna attraverso le nozze sacre (hieros gamos), dando origine alla famiglia.

Il femminile non esercita più il controllo su quello che è uscito dal suo grembo e il percorso evolutivo, la crescita individuale – che si tratti di uomo o donna – è completa.

Il maschile liberato è ora in grado di offrire al femminile protezione, impegno, forza, coraggio, intelligenza.

In talune mitologie la lotta dell’uomo contro il drago è assecondata da una figura femminile (Atena, Medea, Arianna), che in questo caso evidenzia il carattere non sessuale, ma soccorrevole e spirituale, da sorella e non da compagna.

Gli aspetti naturali in cui l’uomo incontra la donna sono infatti diversi: madre, sorella, sposa, figlia. Ognuna di queste figure ha una funzione specifica, anche se esse possono comparire variamente combinate.

Il combattimento può aver luogo più volte nella vita, in età diverse: nella fase infantile, in quella puberale e nella seconda metà dell’esistenza. La prigioniera liberata rappresenta infatti il nuovo, quindi un momento di sviluppo decisivo della coscienza.

Per contro, se questo combattimento fallisce, l’individuo (maschio o femmina) non riesce a liberarsi dalla “tirannia” dei genitori e ciò può essere causa, oltre che di nevrosi, anche dell’incapacità di stabilire un rapporto con una persona dell’altro sesso.

Solo con la vittoria i processi interpersonali dell’inconscio di fronte ai genitori si trasformano in processi psichici interni all’individuo.

 

 In sintesi

Neumann studiò così le grandi mitologie (invito chi è interessato a consultare il libro – Storia delle origini della coscienza, per un approfondimento delle varie fasi – Uroboros, Grande Madre Eroe, dal punto di vista mitologico e quindi filogenetico, ma anche l’impatto che il mito ha dal punto di visto ontogenetico, cioè del singolo individuo nel corso della sua vita, tentando di dare anche una spiegazione delle ragioni degli aspetti patologici), le fasi storiche dell’umanità e le mise in parallelo allo sviluppo del singolo dalla nascita alla fine della fase evolutiva. Egli riteneva infatti che le leggi fondamentali della storia dell’umanità siano riassunte nello sviluppo dell’individuo. Pone quindi in evidenza in tutta la sua letteratura la relazione tra la filogenesi e l’ontogenesi: analizza i grandi archetipi mettendo in rapporto natura e cultura. Ogni essere umano risulta essere il portatore di una eredità estremamente complessa che sedimenta nella psiche e che richiede l’integrazione del passato collettivo nell’evoluzione individuale. L’uomo deve agire la propria creatività interiore, in un processo che può trasformare la personalità e portarla ad un funzionamento più sano.

Neumann fu il grande assertore del fatto che i valori collettivi e filogenetici hanno una importanza straordinaria sullo sviluppo dell’individualità e quindi diede grande rilevanza ai fattori traspersonali dello sviluppo psichico. Per quanto importanti siano i problemi e i traumi psichici avuti nell’infanzia, occorrerà sempre tener conto degli elementi che comunque trascendono la psiche personale e che hanno le loro radici nell’inconscio collettivo.

La sua teoria si fonda tutta sull’assunto che lo sviluppo dell’umanità e quello dell’individuo procedano in maniera analoga verso fasi di differenziazione sempre maggiore dalla matrice originaria (matrice inconscia) da cui proveniamo, per giungere ad una struttura più stabile della coscienza senza mai perdere contatto con le origini. L’archetipo è la struttura portante dell’inconscio collettivo e diventa visibile attraverso le sue manifestazioni nella psiche individuale. L’archetipo per Neumann è una immagine interiore che agisce in modo energetico sulla psiche umana. Egli paragona gli archetipi agli organi fisici e li vede come entità energetiche che sottostanno e presiedono alla maturazione della personalità esattamente come le strutture biologiche e ormonali sottostanno alla struttura fisica. In tal modo, l’evoluzione della coscienza individuale avviene per tappe di differenziazione dall’inconscio fino a giungere alla formazione della coscienza.

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